Dante nell'arte
dalla carta alla tela
La Commedia visionaria di William Blake
William Blake (1757 - 1827), poeta, pittore e incisore inglese, è una di quelle figure difficili da inserire appieno in un movimento o periodo della storia dell’arte, e forse proprio il suo essere così inafferrabile la sua caratteristica fondamentale.
È il 1824, quando John Linnell affida a Blake il compito di illustrare l'Inferno di Dante: lo scopo è trarre dal suo lavoro delle incisioni. Più che un accompagnamento del testo, le evocative illustrazioni di Blake sembrano rivedere criticamente e commentare alcuni aspetti dell’opera dantesca.
Alla sua morte, nel 1827, Blake lascia 102 acquarelli (72 dall´Inferno, 20 dal Purgatorio, 10 dal Paradiso), in diversi stati di elaborazione.
Mal visto e non compreso dalla maggior parte dei suoi contemporanei, sia per le sue creazioni sia per le “visioni” di carattere religioso che pare abbia avuto per tutto il corso della sua vita, su un articolo di The Guardian del 2007, Blake è stato definito "Di gran lunga il più grande artista che la Gran Bretagna abbia mai prodotto."
«L'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa.»
(William Blake, Milton. A Poem in 2 Books)
Per eventuali approfondimenti William Blake. La Divina Commedia di Dante.
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Eugène Delacroix (1822),
olio su tela, 189×246 cm, Musée du Louvre, Parigi
La Commedia va al Salon: La Barque de Dante
È il 1822, e il francese Eugène Delacroix presenta per l’esposizione al Salon un episodio tratto dall’VIII canto dell’Inferno dantesco: Dante e Virgilio traghettati dal demonio Flegias al di là dello Stige, fino all'infuocata città di Dite, vedono la loro barca essere attaccata dai dannati della palude, dove iracondi e accidiosi scontano la loro pena eterna. Tra le fangose genti (Inf.VIII 59) si scorge il fiorentino Filippo Argenti, che furibondo tenta di rovesciare la barca.
In un compendio di citazioni da Michelangelo, Rubens e la recente “Zattera della Medusa” di Géricault, alla presentazione della tela la critica ottocentesca si divise tra estimatori e chi definì il dipinto “una crosta”.
Di lì a poco, l’artista sarà considerato il caposcuola del Romanticismo francese.
Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!». […]
«Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
(Inferno, Canto V, vv. 112-138)
Paolo e Francesca: un trittico
Il celebre canto V dell’Inferno venne acquerellato in forma di trittico da Dante Gabriel Rossetti nel 1855.
Dante e Virgilio, assistono, dal pannello centrale, al dipanarsi della vicenda dei due innamorati: dalla fatale similitudine con Lancillotto e Ginevra nel libro tenuto in grembo, all’eterno castigo tra le lingue di fuoco.