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VITA? MORTE?

Il ricordo e il rimpianto

Per Dante conta soprattutto  il ricordo dei cari grazie al quale continua il legame degli affetti, quindi fa una scelta radicale rispetto al regime delle indulgenze che porterà al commercio delle anime. I per forza morti sono gli uccisi presenti nel canto quinto dove il primo a comparire è anche il meno famoso: Jacopo del Cassero, assassinato mentre cercava di raggiungere Milano, evitando Ferrara per sfuggire al nemico Azzo VIII. Jacopo non ha dubbi sul fatto che i suoi cari pregheranno per farlo andare in Paradiso, inoltre confida in Dante che parlerà alla sua famiglia presso la quale sarà l’ intermediario. Jacopo del Cassero venne ucciso, mentre si trovava sulle rive del Brenta presso le paludi che attorniavano il castello di Oriago, dai sicari di Azzo VIII.  Fu ferito a una gamba e all'inguine, cercò riparo in una palude ma qui morì dissanguato. Jacopo, come altre anime che hanno appena lasciato la Terra hanno una memoria viva di quello che è accaduto e per lui questo è particolarmente vero. Il ricordo è preciso e la zona del padovano in cui è morto perché il marchese d'Este gli ha teso un tranello, è motivo di rimpianto. Jacopo dice che se fosse fuggito verso Mira sarebbe ancora vivo e da queste parole  emerge un desiderio di vita, nonostante si trovi in Purgatorio. Benché salvo nell'anima, trapela il rimpianto per un’esistenza tragicamente troncata. Jacopo vede ancora il sangue che si allarga nella palude, mentre rifletteva sul fatto che stava veramente morendo e non vedeva neanche i sicari. In quel ricordo indelebile  c'è tutta la tragica stupefazione di chi si rende conto che è così che si muore.

Una lagrimetta

Terminato il racconto di Jacopo, inizia il discorso di Bonconte da Montefeltro che deve constatare che la sua famiglia e Giovanna non lo ricordano e quindi non può contare sulle loro preghiere. Bonconte è morto a Campaldino nella battaglia del 1289 ma in questo passo non si fa cenno alle amicizie politiche. Il cadavere di Bonconte si è perso e non se ne sa più nulla. Bonconte parla della sua gola forata e sanguinante, del momento in cui ha  perso la vista, la parola e la sua carne è rimasta sola, ma poi per una «lagrimetta» in fin di vita Bonconte è salvo. E’ la «lagrimetta» a fare la differenza tra l'Inferno e il Paradiso.

La nostalgia del corpo

Le parole di Bonconte fanno emergere anche il rapporto tra l'anima e il corpo:

«Lo corpo mio gelato in su la foce

trovò l’Archian rubesto; e quel sospins

ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce

ch’i’ fe’ di me quando l’dolor mi vinse;

voltommi per le ripe e per lo fondo,

poi di sua preda mi coperse e cinse»

La mia carne è rimasta sola, il mio corpo gelato e poi offeso dalla tempesta scatenata dal diavolo. In questi versi la poesia di Dante nasce dall'uso sapiente della particella pronominale mi: mi cinse,  mi voltò nell’anima e nel corpo, ma il diavolo perse. L'anima si riconcilia Dio in estremo, grazie ad una «lagrimetta» che separa la dannazione dalla salvezza.

La chiusa solenne di Bonconte apre la comparsa di Pia de' Tolomei attraverso un montaggio narrativo astuto,  infatti Dante incolla la voce sommessa di Pia a quella solenne di Bonconte. Viene ribadito il tema del ricordo perché Jacopo del Cassero sarà ricordato dalla sua famiglia, Bonconte sa che nessuno lo farà,  mentre Pia dice a Dante:

«Ricordati tu di me,

perché nessuno pregherà per me».

Il ricordo è salvifico.

Il salvifico amore coniugale

Forese, l’amico di Dante, si trova fra i golosi ed il poeta si sorprende di trovarlo già lì dopo soli cinque anni dalla sua morte, ciò significa che ha salito la montagna molto in fretta. Dante pensava di trovarlo ancora nella schiera di chi aspetta di entrare nel Purgatorio ma è stata Novella, la vedova, che ha pianto tanto e pregato per Forese strappandolo dall'antipurgatorio. La vicenda di Forese Donati è un esempio di grande dolcezza coniugale; solo attraverso il rapporto d'amore tra l'aldilà e l'al di qua si fonda la teologia del Purgatorio.

Purgatorio: regno di amici e poeti

La salvezza arriva anche dal sentimento dell'amicizia, quale intimità tra pari presenti in Purgatorio ma non nell’Inferno e nel Paradiso. Dante incontra tanti amici nelle diverse terrazze del Purgatorio ed è evidente la complicità intellettuale e la condivisione di passioni e ideali. 

Sordello

Sordello è un’ anima lombarda, vale a dire proveniente dall'Italia settentrionale al quale Virgilio chiede indicazioni, ma Sordello non gli risponde, non si concede e chiede chi siano. Virgilio risponde: «Mantua…» e Sordello dice che anche lui è mantovano e scatta l'abbraccio. Basta il nome della patria comune per scatenare l'affetto.

Stazio

Virgilio incontra Stazio che lo ammira e che è miracolosamente salvo grazie a lui che ne ha ispirato la conversione. Dante ricorda che la mamma poetica è l'Eneide, sorride e dice che la sua guida è proprio Virgilio e Stazio si inchina quasi per abbracciare i piedi del maestro, ma sono anime e non possono farlo, non sono corpi penetrabili. Il Purgatorio è la terra di mezzo dove esiste il valore solidale della poesia, della letteratura e della cultura, è il luogo del riconoscimento delle inclinazioni.

Bonagiunta Orbicciani

Dante incontra Bonagiunta e definisce il Dolce Stil Novo. Bonagiunta dice che vede il poeta che ha rinnovato la poesia con la lirica «Donne ch’ avete intelletto d'amore», che inaugura la poesia della lode.  In Purgatorio Dante ha un atteggiamento umile e spiega la sua poesia: si definisce uno scriba d'amore, riconoscendo pudicamente che alle sue spalle c'è l'amore che detta. Bonagiunta afferma che i giovani poeti hanno fatto passi avanti, mentre i siculo-toscani sono rimasti al di qua del Dolce Stil Novo. Entrambi hanno però parlato d'amore, ma è Dante ad aver inventato questa definizione.

Guido Guinizzelli

Guinizzelli non sapeva di essere uno stilnovista, perché la definizione era stata coniata da Dante. Nel canto XXVI del Purgatorio c’è l'incontro di Dante con Guinizzelli e Arnout Daniel, personaggi che non si erano conosciuti in vita ma tra loro esiste una complicità poetica. Nel muro di fiamma dei lussuriosi c'è Guinizzelli che si è pentito presto e Dante, nel vederlo, si emoziona perché lo considera padre suo, cioè padre poetico. Guinizzelli si stupisce dell' intensità affettiva di questo sconosciuto e Dante gli spiega che l'affetto nasce dalla dolcezza della sua poesia.

Arnaut Daniel

Guinizzelli indica a Dante il più grande poeta: Arnaut Daniel, il miglior fabbro del parlar materno. Dante scrive il passo più singolare della Divina Commedia in provenzale, tutte le anime parlano in italiano tranne l'unica eccezione di Arnaut Daniel che in tre terzine parla nella lingua di cui Dante si era nutrito. Daniel è nel fuoco che lo tormenta e lo raffina. Ed è qui, in Purgatorio, che vengono ribaditi i valori della poesia e della cultura della comunità intellettuale.

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